La vie nouvelle (2002) – Philippe Grandrieux
Quello di Grandrieux è essenzialmente un cinema fatto di immagini in cui si concede poco spazio alla parola e viene fatto totale affidamento sulla potenza visiva per suggerire sempre intense emozioni. Qui non è da meno: una trama basilare fa da sfondo a un impeto di sensazioni disarmanti.
Seymour, un giovane militare americano, accompagna Roscoe nei pressi di Sofia per acquistare prostitute dal trafficante di uomini Boyan. All’Hotel Rodina, una sorta di bordello di stato, Seymour rimane fatalmente attratto da Melania, una bellissima prostituta ucraina. Il giovane vorrebbe condurla con sé per darle una “Vita Nuova”, ma la ragazza appartiene a Boyan.
I pochi dialoghi evidenziano in modo esagerato la complessità dei sentimenti che scaturiscono dai personaggi, tormentati e dilaniati dalle loro passioni più basse. Con l’estetica che lo caratterizza, senza filtri di alcun genere, Grandrieux proietta i personaggi in un mondo cupo, freddo e crudo in cui la violenza in tutte le sue forme, sia fisica che psicologica, appare l’unico strumento certo per esprimere l’interiorità oppressa in corpi dispersi nell’ombra, per afferrare un amore tanto veemente e ossessivo quanto impossibile e precario, per affermare e imporre il proprio potere sugli altri.
Tutto ciò è esemplificato dalla sequenza in negativo, la più estrema, realizzata con la camera termica: in primo piano, corpi che si divorano tra loro in balia del desiderio e della follia più sfrenata. Difficile rimanere impassibili davanti ad un’opera del genere che con la sua atmosfera tetra e un sonoro ovattato e ossessivo ci conduce nei meandri più neri dell’essere umano. Estremo, penetrante, viscerale, di una potenza devastante. Un’esperienza sensoriale obbligatoria!