Dealer (2004) – Benedek Fliegauf
Mi sono accostato per la prima volta al regista ungherese Benedek Fliegauf grazie a questo film ed è stata un’esperienza destabilizzante, ma doverosa. Fliegauf dà vita ad un’opera originale che riguarda un tema molto delicato, che spesso si finisce per banalizzare.
Il regista ripercorre l’intera giornata di uno spacciatore, dal risveglio fino a quando decide di andare a “dormire”, in una città spenta, persa come le anime delle persone che la abitano. Lo spacciatore, di cui non viene rivelato il nome, compie il suo lavoro come un automa, con un’indifferenza e un’operosità disarmanti, rassegnato al ruolo che ricopre e con il quale la società lo riconosce: il dispensatore di morte. Ormai si occupa della sua attività come se fosse necessaria, non è interessato al compenso in denaro o a qualsiasi altro tipo di ricchezza, ma si sveglia al mattino con il solo proposito di procurare alle persone ciò che bramano smaniose: la non-vita. Durante la giornata incontra molti dei suoi clienti abituali, appartenenti ad ogni strato sociale come il capo di una fede religiosa, uno studente universitario e una madre sola con una bambina da mantenere. Ognuno di loro è ridotto a un guscio vuoto, privo di vitalità, macchine capaci soltanto di assumere droga, l’unico appiglio al quale riescono ad aggrapparsi. Alcuni lo accusano della condizione di miseria alla quale sono giunti, lo additano come l’unico responsabile, rinnegando le proprie colpe e la propria incapacità di vivere. Queste persone rappresentano lo specchio di una società che non è più capace di affrontare i mali che incombono su di lei, mali che spesso sono generati dalle persone stesse e ai quali si sottraggono optando per la soluzione più facile, arrendendosi al male di vivere.
Fliegauf ci dona un’ immagine terribile dell’uomo, consumato dalle proprie debolezze e dai propri vizi, come la ragazza universitaria che, in condizione di overdose, emana un lamento inquietante, un grido d’aiuto che assomiglia a una cantilena destinata a non cessare mai. Un’atmosfera lugubre e funerea permea tutto il film intensificando il senso di disagio e malessere che l’opera suscita e che sembra accompagnare ogni passo dello spacciatore, preannunciando il suo arrivo.
La regia è caratterizzata dal moto elicoidale della cinepresa in senso orario che, lenta e impassibile, cattura i personaggi a 360 gradi, sottolineando l’ineluttabilità dello scorrere del tempo e della vita. Inoltre, un suono continuo e assillante accompagna la ripresa. Questa tecnica particolare rende ogni sequenza indimenticabile, come l’ultima, nella quale il protagonista si abbandona tra le dolci e accoglienti braccia della morte, recidendo quel sottile legame che lo teneva unito a un mondo al quale non sentiva più appartenere.
L’opera cinematografica di Fliegauf si concretizza nel ritratto di una realtà sconvolgente che si rivela essere la nostra, in cui la società è in progressiva disgregazione verso un’autodistruzione che appare sempre più irreversibile.
Voto: ★★★★★