Top 20 Migliori Film del 2019

  • 20. Portrait of a Lady on Fire – Céline Sciamma
  • 19. Uncut Gems – Benny Safdie, Josh Safdie
  • 18. John Wick: Chapter 3 – Parabellum – Chad Stahelski
  • 17. Joker – Todd Phillips
  • 16. Libertè – Albert Serra
  • 15. Bacurau – Kleber Mendonça Filho, Juliano Dornelles
  • 14. The Halt – Lav Diaz
  • 13. Glass – M. Night Shyamalan
  • 12. A Rainy Day in New York – Woody Allen
  • 11. Beanpole – Kantemir Balagov

10. Beyond the Dream – Kiwi Chow

Kiwi Chow da vita una splendida romance riflettendo sulla relazione che si instaura tra due anime tormentate, una affetta da un disturbo mentale e l’altra segnata da profonde cicatrici interiori, che perseguono un’amore che possa andare oltre la dimensione illusoria del sogno.

9. Vitalina Varela – Pedro Costa

Cinque anni dopo Cavalo Dinheiro Pedro Costa continua la sua riflessione radicale attorno alla comunità capoverdiana di Fontainhas, piccolo e povero quartiere di Lisbona, per mostrare il lungo cordoglio di Vitalina Varela, tornata in Portogallo per salutare il defunto marito Joaquin.

8. Midsommar – Ari Aster

Lasciando l’oscurità di Hereditary, Ari Aster si sposta in una piccola comunità nella Svezia più bucolica, perversa da una perenne luce radiosa, durante i giorni della celebrazione psicotropica di un inquietante festival folkloristico.

7. Zombi Child – Bertrand Bonello

Abbandonando ogni cliché del genere, Bonello conduce una interessante riflessione politica attraverso una dissertazione teorica del voodoo e della zombificazione, che unisce storie ed epoche lontane, Haiti del 1962 e l’odierna Parigi.

6. Parasite – Bong Joon-ho

Boong Joon-ho, attraverso una vicenda alquanto grottesca, mostra la deflagrazione dell’animo umano dovuta ad una totale assenza di principi e sentimenti comuni anche nella moderna e sviluppata Corea del Sud, in cui la sopravvivenza di uno comporta l’annientamento dell’altro.

5. The Lighthouse – Robert Eggers

Tra i migliori horror degli ultimi anni, il film è una lenta discesa allucinogena in una spirale di pazzia e delirio tra paranoia e tensione.

4. Luminous Void: Docudrama – Rouzbeh Rashidi

Definito come un docudrama, il film di Rashidi è una splendida sperimentazione cinematografica in cui la figura del regista, il demiurgo dell’opera, e il mezzo attraverso cui egli comunica si fondono in un tripudio di immagini e suoni, che manifestano le immense potenzialità del mezzo filmico in una danza cosmica destinata a perdurare nello sconfinato palcoscenico che è il cinema.

3. White Noise – Antoine d’Agata

La summa dei due precedenti lavori del fotografo/regista (Aka Ana e Atlas) White Noise è un’opera di quattro ore che esplora l’interiorità di donne segnate da dolori e violenze, in giro per tutto il mondo, attraverso l’illustrazione di corpi che si abbandonano a monologhi infiniti.

2. Once Upon a Time in… Hollywood – Quentin Tarantino

L’ultimo film della c.d. Trilogia del revisionismo storico, Once Upon a Time in Hollywood è anche probabilmente l’opera più matura di Tarantino, in cui la vicenda narrata diviene un mero pretesto per un meraviglioso viaggio metacinematografico volto ad esplorare l’essenza del cinema come lo concepisce l’autore.

1. Cemetery – Carlos Casas

Carlos Casas dà vita ad un’opera sensoriale di incredibile potenza che, attraverso un’esplorazione visiva e sonora che culmina in una perfetta simbiosi tra immagine e suono, oltrepassa i confini dell’esperienza cinematografica. Cemetery

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Cemetery

Cemetery (2019) – Carlos Casas

“Dall’inizio dei tempi, molte storie e leggende sono state raccontate sul mito del cimitero degli elefanti. Una montagna invalicabile e una giungla di grande possenza condurrebbe gli avventurieri dalle caverne ai fiumi sotterranei dove tutti gli elefanti vengono a morire un giorno. Alimentata da quelle favole, la sete dei bracconieri per il loro prezioso avorio non si è mai estinta. Tra i numerosi disastri di cui sono responsabili, sono riusciti a uccidere tutti gli elefanti tranne uno. Mentre la fine del loro mondo si avvicina, essi seguono le orme dell’unico elefante che può ancora guidarli in quel luogo segreto che nessuno ha mai visto se non nei sogni”.

Traendo ispirazione da questo mito, Carlos Casas dà vita ad un’opera sensoriale di incredibile potenza che, attraverso un’esplorazione visiva e sonora che culmina in una perfetta simbiosi tra immagine e suono, oltrepassa i confini dell’esperienza cinematografica.
Il regista spagnolo essendo un filmmaker e artista visivo, realizza un’opera tra il film documentario, cinema sperimentale e arte visiva-sonora, in cui l’attenzione estatica preponderante favorisce quel viaggio che ognuno può intraprendere dentro se stesso mentre guarda delle immagini e che, usando le stesse parole del regista, conduce in una dimensione al di fuori dello spazio contingente che porta alla creazione di uno stato mentale nell’esperienza audiovisiva, verso una sorta di illuminazione, tramite cui si giunge a quella scintilla originaria in grado di accendere l’immaginazione.

Il film è suddiviso in quattro capitoli.
Il primo è un lungo e lento segmento in cui i due protagonisti, l’elefante e il suo mahout, in mezzo alla foresta impervia dello Sri Lanka, si apprestano a compiere tutti i riti necessari ad intraprendere il loro ultimo viaggio verso il cimitero degli elefanti. Progressivamente si assiste alla scomparsa del grande pachiderma che lentamente diviene tutt’uno con la natura circostante: il suo occhio, la sua pelle, con le sfumature di grigio e verde, si (con)fondono con la corteccia degli enormi alberi della foresta pluviale, finché si può soltanto percepire la presenza dell’animale, che ormai è divenuto sempre più parte integrante della natura.
Il secondo capitolo segue invece il gruppo di bracconieri che è alle calcagna dei due e i cui membri, uno dopo l’altro, periscono misteriosamente, in quanto la natura non è lo sfondo passivo dell’azione umana, ma un’entità sensibile e pensate, le cui percezioni vengono trasmesse dalla materia filmica attraverso la commistione di elementi visivi e sonori.
Il terzo capitolo descrive il compimento del viaggio, l’arrivo nel mitico cimitero degli elefanti, che si manifesta attraverso una sorta di affresco in cui una moltitudine di immagini e suoni si sovrappongono in un’oscurità di trip allucinatori dai richiami primordiali. Qui ogni cosa si annulla, persino Il concetto di tempo perde ogni significato: il presente e il futuro si fondono divenendo un unicum che è al contempo presente e futuro.
L’ultimo capitolo costituisce invece l’epilogo che conduce ad una sconfinata natura permea di nova luce, sintomo di un azzeramento che è solo il punto di partenza di un nuovo ciclo, di un imperituro eterno ritorno.

Le quattro parti in cui si articola l’opera divengono così le tappe imprescindibili di un viaggio iniziatico, nonché di un’esperienza visiva e sonora straordinaria, quasi mistica, verso una comprensione cosmologica che trascende l’intelletto umano dello spazio e del tempo. Il cimitero degli elefanti diviene la fine stessa del mondo, un’immersione nell’oscurità assoluta, che però è solo una condizione transitoria, perché presto deve concedersi alla luce, ad un nuovo inizio: la morte allora non è altro che una forma di una possibile (ri)nascita.

Voto: ★★★★★