Una moglie – A Woman under The Influence

Una moglie – A Woman under The Influence (1974) – John Cassavetes

Ho visto questo film tutto d’un fiato, catturato dalla capacità del regista di ricreare l’intensità dei rapporti umani, nella loro tenerezza, complicità, conflittualità, spontaneità. Forse è proprio l’effetto catartico dato dalla immediatezza con cui le emozioni e i sentimenti vengono rivissuti nell’animo dello spettatore a tenerlo così imprigionato allo schermo, come se potesse essere inghiottito da un momento all’altro.

Il film racconta il progressivo stato di esaurimento nervoso di Mabel, madre e moglie di un caposquadra edile, l’italo-americano Nick.

Quando  sullo schermo appaiono i titoli di coda, una domanda sorge spontanea: A woman under the influence – Una moglie, perché questo titolo?  Focalizzandomi sul titolo in italiano, che per una volta sembra non essere scelto a caso, mi sono chiesto come mai fosse proprio “una moglie” e non “una donna”: il focus dell’intero film non è una persona qualsiasi e il suo progressivo degenero, ma un ruolo, uno status sociale: una moglie.

Una moglie che si sente trascurata dal marito e che finisce per tradirlo. Una moglie che a tavola con gli amici del marito non si comporta in maniera consona al suo ruolo. Una moglie adorata dai suoi figli e dai bambini, ma incapace di relazionarsi con gli adulti. Una moglie che sa essere una buona moglie, ma che non riesce a comportarsi come gli altri si aspetterebbero da lei.

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Solo i bambini, per definizione ingenui e senza pregiudizi, la accettano (emblematica è la scena finale in cui allontanano il padre). Forse il titolo originale, A woman under the influence, fa proprio riferimento alla difficoltà della protagonista di stare nel ruolo, ovvero, di incarnare le aspettative (influence) altrui, di costringere la sua libertà in una sagoma precostituita, di “tenere a bada i suoi nervi”, cioè, di tirare i freni inibitori e controllarsi, di conformarsi alla società. Eppure, Mabel è una buona moglie, pur non indossando l’abito che la società vorrebbe appiccicarle addosso. Sotto questa luce acquisiscono un nuovo significato le parole pronunciate da Mabel prima di essere mandata in una clinica neurologica, durante la straordinaria sequenza (una delle più riuscite e più emozionati della storia del cinema, la Rowlands dimostra tutta la sua incredibile capacità recitativa dando una prova mostruosa, indimenticabile) in cui esplode tutta la sua follia repressa fino a quel momento: “Cinque punti Nick. Ci ho pensato tanto, sono cose giuste per me. Per noi. Primo è l’amore. Secondo è l’amicizia. Terzo credo, il calore. E quarto, sono una buona madre. Quinto, ti appartengo. Ecco, questi sono i miei cinque punti”. A cosa serve costringersi nelle norme dettate dalla società se queste cose le riescono bene? Sei mesi dopo torna a casa. La clinica le ha insegnato a contenersi, a controllarsi, a non essere libera. Il marito però, nel periodo di tempo trascorso ha riflettuto molto e si è pentito di aver acconsentito a mandarla via di casa (in una scena chiede espressamente scusa ai bambini, assumendosi la responsabilità). Quando la rivede non la riconosce, in quanto appare una Mabel contenuta in una dimensione di vuoto conformismo, perciò le intima di essere se stessa, di tornare ad essere la Mabel di prima, quella con i tic, le espressioni, i disagi, quella folle, ma la vera Mabel. Forse è proprio questo che “guarisce” Mabel: essere accettata e amata per quello che è. Dopodiché il film si conclude nella normalità (Mabel e Nick sparecchiano), lasciandoci però un finale aperto: forse l’esaurimento nervoso è veramente terminato o forse no, ma ci rimane la consapevolezza che l’amore di Nick e quello dei bambini è più forte della follia e soprattuto del conformismo sociale. 

In questa opera appare tutta la bellezza, la naturalezza del cinema di Cassavetes consistente nell’autenticità del contenuto, nella realtà delle  vicende narrate. Il film infatti non è altro che uno spaccato di quotidianità di una famiglia e di come l’equilibrio che la governa è incrinato dallo stato di malessere psicologico che ha colpito la madre e moglie. Non è difficile che lo spettatore si identifichi nei personaggi e senta  molto vicini i temi trattati. Strepitosa la regia di Cassavetes: la camera sembra partecipare alla vicenda, dialogare con i personaggi, registrando nei minimi particolari i loro gesti e le loro espressioni.

Film straordinario, che fa riflettere sul ruolo che rivestiamo nella società e su quanto questo ci impedisca di essere noi stessi: di essere liberi.

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voto: ★★★★★/★★★★★